10/05/2019
Milano, 10 maggio 2019 - Non soffrire è un diritto sancito dalla Legge. A nove anni dall’attuazione della Legge 38/2010 per le cure palliative e la terapia del dolore, nonostante il miglioramento della situazione, in Italia il dolore è tuttora sottostimato e spesso non adeguatamente inquadrato e trattato, con rilevanti ripercussioni sulla qualità di vita dei pazienti e un notevole impatto sulla sostenibilità della spesa sanitaria e socioassistenziale. Sono queste, in sintesi, le conclusioni dell’evento “Science of relief. Il dolore come 5° segno vitale: un paradigma ancora attuale?”, organizzato oggi a Milano da Grunenthal Italia. L’incontro ha visto il coinvolgimento di clinici, istituzioni, società di settore e associazioni pazienti, per offrire una visione d’insieme e al tempo stesso prospettica, in accordo con ricerca scientifica e terapie all’avanguardia.
L’incontro ha evidenziato luci e ombre dell’applicazione della Legge 38/2010, i traguardi raggiunti, ma anche lo sviluppo disomogeneo delle reti locali e l’adozione di modelli organizzativi e percorsi assistenziali di presa in carico del paziente difformi tra le diverse Regioni e un’offerta formativa insufficiente.
“Gli effetti del dolore cronico sulla società sono molto importanti – afferma Giustino Varrassi del World Institute of Pain (USA) –. I responsabili politici dovrebbero preoccuparsi di più di questo argomento, solo per evitare l'enorme impatto economico sui sistemi di assistenza sanitaria dei pazienti con dolore e prevenire sofferenze inutili nei pazienti”.
“E’ necessario che le società scientifiche si incontrino per definire delle linee guida trasversali alle diverse aree specialistiche – ha sottolineato Franco Marinangeli, Direttore Istituto di Anestesia e Rianimazione dell’Università degli Studi dell’Aquila, ASL Avezzano Sulmona L’Aquila e Responsabile Area Culturale Dolore SIAARTI (Società Italiana Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva – Nell’ottica di identificare precocemente i pazienti che necessitano di interventi diagnostici e individuare l’approccio terapeutico più appropriato vanno coinvolte le figure professionali con specifiche competenze ed esperienze, con particolare riferimento ai medici di medicina generale e ai medici specialisti, nonché ogni altra figura professionale ritenuta essenziale”.
Durante l'incontro, gli esperti si sono trovati d'accordo sui progressi ottenuti e sulla necessità di far luce sulle notevoli differenze regionali sia per la creazione degli hospice sia per le cure domiciliari.
Italo Penco, del Centro di Cure Palliative Fondazione Sanità e ricerca di Roma, ha sottolineato come ci siano ancora troppi pazienti terminali trattati in strutture ospedaliere. Il numero di giornate di cure palliative erogate a domicilio resta distante dallo standard individuato dal DM n. 43 del 2007. “In Italia prevale ancora la mortalità in ospedale a testimonianza di un insufficiente sviluppo delle alternative offerte dalle Reti Locali di Cure Palliative. In Italia sono 300/400mila i pazienti che necessitano di cure palliative; di questi il 60% soffre di una patologia non-oncologica, un dato che ribalta il vecchio scenario alle cure palliative. Il 55% dei pazienti ha necessità di cure di base, cioè di un approccio che se ben erogato permetterebbe al medico di intercettare i bisogni del paziente”.
Le società scientifiche hanno fatto molto per implementare percorsi di formazione adeguati.
Stefano Coaccioli (S.C. Clinica Medica - reumatologia e terapia del dolore, Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni) ha ribadito l’importanza di una formazione che apra prospettive nel breve e nel lungo termine: “E’ necessario lavorare innanzitutto sul rapporto tra medico e paziente. Il dolore è parte di un quadro complesso e articolato con il quale il medico di medicina generale deve confrontarsi, per comprendere fino in fondo il paziente, le sue valutazioni personali e le sue aspettative, le sue paure e le sue necessità. Lo stesso percorso formativo deve essere compiuto daglispecialisti (terapisti del dolore, fisiatri, ortopedici, ecc.) nel rapporto col medico di base, al fine di inviduare il corretto approccio diagnostico e pianificare una strategia terapeutica. Sul lungo termine con l’introduzione del corso di Medicina del Dolore al quinto anno di studi sarà possibile far crescere una nuova generazione di medici preparati ad affrontare la patologia”.
A questo proposito Alberto Magni di SIMG dichiara: “Stiamo promuovendo due progetti di formazione che rientrano in un più ampio progetto dell’Alta Scuola di Formazione di SIMG. I due progetti di formazione hanno come obiettivo quello di formare Medici di Medicina Generale con Particolare Interesse in Cure Palliative e Medicina del Dolore: Il focus principale è l’identificazione degli assistiti con bisogni di cure palliative al fine di garantire un intervento precoce: è in grado di migliorare la qualità di vita dei malati e di aumentare la loro consapevolezza rispetto alla situazione clinica e di supportarli nelle decisioni relative alle scelte terapeutiche nelle fasi avanzate di malattia e alla fine della vita, di garantire risparmi significativi per i sistemi sanitari attraverso una maggiore appropriatezza delle cure, con una riduzione degli accessi in Pronto Soccorso, dei ricoveri nei reparti per malati acuti e della mortalità in ospedale. Per quanto riguarda la Medicina del Dolore il progetto di formazione ha come obiettivo quello di tipizzare il dolore, misurarne le dimensioni e l’impatto sulla qualità della vita e di prescrivere una terapia appropriata e coerente al tipo di dolore”.
Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha evidenziato quali i prossimi passaggi sulla base delle attese del paziente: “Anche se abbiamo una legge che il mondo ci invidia, molto ancora resta da fare. Con il programma del nostro Tribunale per i diritti del malato IN-DOLORE abbiamo lavorato per fotografare cosa succede nelle strutture ospedaliere, per spingerle a misurarsi e migliorarsi costantemente, e proseguiremo nell’attività di monitoraggio e nella “operazione trasparenza” dell’impegno di ciascuna struttura ospedaliera. Negli ultimi 3 anni, come componenti del Comitato tecnico sanitario del Ministero della Salute abbiamo sottolineato ai diversi stakeholder la necessità e l’urgenza di superare gli ostacoli ancora presenti”.
In ambito pediatrico viene percepita la necessità di una maggiore sensibilizzazione sulla problematica: “La gestione ottimale del dolore in pediatrica non supera il 30% dei casi e solo il 5/10% dei bambini eleggibili ha accesso a servizi di cure palliative. Mancano alternative terapeutiche, risorse, strutture e organizzazione – ha dichiarato Franca Benini, del Centro Regionale Veneto di terapia antalgica e cure palliative pediatriche di Padova –, che si ripercuote non solo sul piccolo paziente ma anche su famiglia e più in generale sulla società”.
Rossella Marzi (AOU Maggiore della Carità di Novara) ha infine illustrato cosa è stato introdotto per avere dati sull’attività di controllo del dolore in ambito ospedaliero o ambulatoriale: “Con la modifica della tabella che identifica le specialità cliniche e le discipline ospedaliere (Codice 96) sarà obbligatorio censire nel SIS le unità di degenza ospedaliera dedicate e i relativi posti letto, con l’annotazione nelle Schede di dimissione ospedaliera (SDO) dei ricoveri effettuati nelle unità operative dedicate. Finalmente la disciplina viene riconosciuta come autonoma. Si tratta di una svolta importante per la terapia del dolore perché con questa novità si potranno acquisire dati significati e specifici su come viene gestito e trattato il paziente”.
Chiara Lattuada
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